Onorevoli Colleghi! - La trasformazione del regime politico-istituzionale italiano intervenuta con l'instaurazione e il consolidamento del parlamentarismo maggioritario ha rappresentato un vero e proprio tentativo di «esorcizzare la democrazia», di proporre operazioni correttive delle istituzioni e, quindi, del sistema politico in funzione «della logica dello Stato governante e della democrazia decidente». Il sistema elettorale è stato stravolto con l'intento di farne uno strumento di investitura del Governo, invece che di formazione della rappresentanza.
      Il parlamentarismo non è un calcolo meccanico dei voti e della maggioranza, né ogni elezione un referendum e un plebiscito insieme, perché il rischio più certo sarebbe, altrimenti, la dittatura della maggioranza, mentre in Parlamento il voto sarebbe acriticamente dato secondo le disposizioni dei capi. Siamo in presenza di

 

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difficoltà di fondo oramai da tempo opposte alla equilibrata efficienza democratica del regime parlamentare, difficoltà che però rischiano oggi di compromettere la tenuta stessa di una democrazia che non voglia ridursi a mera, occasionale seppur periodica investitura dei capi.
      Quasi quindici anni di regime maggioritario imposto tecnicamente, normativamente coatto, hanno prodotto una trasformazione sostanziale delle istituzioni parlamentari, trascinate al di fuori del regime fondato sul principio dell'intesa tra tutte le forze politiche in ordine all'accettazione dei ruoli reciproci e delle decisioni di maggioranza indotte dalla fiducia nel metodo, e nelle regole procedurali. Tutto ciò ha fino ad ora gravemente rischiato di minacciare lo stesso equilibrio democratico laddove, in una società politica divisa come la nostra e priva della necessaria fiducia reciproca tra le opposte parti politiche, ha effettivamente condotto a un processo di delegittimazione degli avversari politici, delle leggi prodotto della loro forza politica e, di conseguenza, delle istituzioni per il tramite delle quali il loro potere legale è esercitato.
      In questo contesto politico-istituzionale scompare, altresì, la vocazione di origine della funzione parlamentare, quella di sintesi dell'interesse generale, definitivamente compromessa se i poteri di blocco delle minoranze riescano a funzionare da mero strumento ostruzionistico o, peggio ancora, perdano ogni potenziale in grado di impedire che su importanti questioni la maggioranza decida da sola «dittatorialmente».
      Soltanto regimi politici privi del clima culturale di delegittimazione reciproca tra le opposte fazioni consentono, in sintesi, di optare per soluzioni istituzionali composte dalla commistione di forti elementi plebiscitari e rappresentativi. Soltanto l'omogeneità politica e sociale, che forse nei sistemi complessi contemporanei è, di per sé, pura astrazione, consentirebbe la tenuta democratica del regime dell'alternanza. Il plebiscitarismo, nella sua versione attuale, nel regime vigente oggi in Italia, travolge invece la rappresentanza, che è il pilastro della democrazia moderna, snaturando lo stesso voto come atto costituzionale, ridotto a mera funzione di investitura plebiscitaria del capo.
      Scriveva Carlo Esposito che il vincolo del «metodo democratico» imposto dalla Costituzione repubblicana alla libertà di associazione in partiti politici avrebbe dovuto opporsi anche a quei partiti che avessero tentato di «sabotare la vita parlamentare» e con essa gli istituti della democrazia rappresentativa «consacrati dalla nostra Costituzione», che pretendessero di prescindere dalla consapevolezza «di essere solo parte di un tutto» alla ricerca del modo per «farsi valere e operare come tutto». Non è questa la democrazia, non è questo il Parlamento. È piuttosto l'esito della strumentalizzazione dei risultati elettorali, del voto dei cittadini in termini di vittoria contro: contro le opposizioni, contro le minoranze, contro gli stessi cittadini. La rappresentanza, come diceva Kelsen, è un'altra cosa: «è stata eletta con i voti di tutti e contro i voti di nessuno, cioè all'unanimità». È questo il principio politico legittimante le istituzioni rappresentative e, con esse, la stessa funzione di governo.
      Il sistema elettorale maggioritario, introdotto nel nostro ordinamento con le leggi 4 agosto 1993, n. 276 e n. 277, rispettivamente per il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati, ha invece prodotto gravi distorsioni nel rapporto tra la società e le istituzioni. Gli obiettivi che erano stati assegnati alla riforma in senso maggioritario del sistema elettorale in realtà non sono stati raggiunti. Né tali problemi sono stati risolti dalla riforma del sistema elettorale approvata dalla sola maggioranza di Governo nella scorsa legislatura, definita dal regime mediatico come «proporzionale» ma di fatto maggioritaria anch'essa, laddove consente alla coalizione o alla lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti di conquistare almeno 340 seggi alla Camera dei deputati. Nulla va aggiunto, peraltro, a proposito dei meccanismi premiali che consentono la formazione di maggioranze alternative nelle due Camere.
 

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      Non si sono ottenute né la stabilità dei Governi né la semplificazione del quadro politico in senso bipolare. Quanto alla stabilità basti ricordare che la XII legislatura è durata solo due anni e, durante il suo svolgimento, il Governo Berlusconi, scaturito dal voto con il sistema maggioritario, è durato in carica solo sette mesi. Dunque, nell'arco di una sola legislatura, peraltro di assai breve durata, si sono succeduti ben due Governi di cui il secondo, il Governo Dini, non legittimato da un punto di vista strettamente maggioritario e bipolare, perché non espressione del voto popolare. Paradossalmente proprio in nome di una stabilità assunta come valore assoluto si è così proceduto all'insediamento di un Governo diverso da quello che aveva il proprio fondamento nella maggioranza votata dagli elettori con il sistema elettorale che avrebbe dovuto garantirla.
      Come si vede, la stabilità non può essere affidata al solo sistema elettorale, mentre, considerata come obiettivo che il sistema deve garantire, appare piuttosto un artificio dialettico che nasconde il tentativo di realizzare maggioranze il più possibile omogenee in un sistema di alternanza, dove il governo dell'economia e dei processi sociali si configura come gestione dell'esistente con poche variabili secondarie. La realtà effettuale smentisce, dunque, l'idea che la stabilità dei Governi possa essere raggiunta con il semplice ricorso a regole di natura elettorale, essendo questa piuttosto demandata al rispetto innanzitutto della rappresentatività degli eletti rispetto alla complessità della realtà sociale, culturale e politica del Paese. Solo un'effettiva rappresentanza istituzionale delle forze politiche e delle istanze sociali che in esse si riconoscono consente di costruire alleanze e, quindi, maggioranze fondate su un equilibrio vero degli interessi in campo. Naturalmente anche le regole elettorali svolgono una funzione importante, ma appunto esse non possono sacrificare sul terreno dell'alternanza la rappresentanza delle forze reali. Su questo terreno si pone l'esigenza della semplificazione del quadro politico che il sistema maggioritario certo non ha contribuito a realizzare. Anzi abbiamo assistito negli ultimi anni alla proliferazione di piccole formazioni politiche che, nell'ambito del sistema dell'alternanza, hanno potuto svolgere un ruolo superiore alla propria reale consistenza in quanto potevano risultare decisive, sia pure con l'apporto di pochi consensi elettorali, nei vari collegi uninominali.
      A ciò devono aggiungersi, oggi, le preoccupazioni per scelte di politica istituzionale, di «lotta costituzionale», comunque tese alla concentrazione del potere, alla rottura della par condicio, alla discriminazione delle minoranze, al condizionamento degli esiti del voto sfruttando il potere che la forza aritmetica della maggioranza parlamentare consente di esercitare laddove si identifichi in essa l'intero Parlamento, con un Capo del Governo che pretenda di rappresentare unitariamente gli interessi di tutti i cittadini contro le minoranze e le opposizioni. L'ostinata ricerca di un equilibrio di potere intorno alla minoranza più forte, infatti, nel perseguire l'obiettivo di breve periodo della stabilità dell'esecutivo porterebbe in breve tempo a determinare l'instabilità delle stesse istituzioni democratiche, laddove la maggior parte delle forze politiche fosse deliberatamente esclusa dal legittimo concorso alla formazione, attraverso le leggi, della volontà generale, stante l'eguale diritto di tutti i cittadini a concorrere, con metodo democratico, alla determinazione della politica nazionale (articolo 49 della Costituzione).
      Con il voto referendario del giugno 2006 la stragrande maggioranza della maggioranza assoluta del corpo elettorale italiano ha inoltre radicalmente respinto, con il premierato assoluto, ogni ipotesi di concentrazione e di personalizzazione del potere, confermando la scelta per la forma parlamentare di governo contenuta nella Costituzione repubblicana.
      La necessità, quindi, di recuperare un sistema sostanzialmente proporzionale, pur con alcuni correttivi volti a garantire la semplificazione degli schieramenti politici, è all'origine della presente proposta
 

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di legge. Essa non si limita ad allargare la quota di eletti con il sistema proporzionale, ma introduce sul modello tedesco un sistema integralmente proporzionale senza però abolire i collegi uninominali, nell'ambito dei quali il candidato più votato ottiene comunque l'assegnazione prioritaria del seggio.
      L'elettore esprime due voti su una sola scheda elettorale. Il primo voto serve a eleggere un candidato nel collegio uninominale. Così vengono eletti 309 deputati. Il secondo voto viene dato alla lista di partito per eleggere gli altri 309 deputati. Il conteggio a livello nazionale dei voti di lista determina quanti seggi avrà ciascun partito, al quale il candidato nel collegio uninominale si collega all'atto dell'accettazione della candidatura. La lista che non ottiene con la formula proporzionale il 4 per cento dei voti a livello nazionale non partecipa alla distribuzione dei seggi. Una volta noto il numero di seggi spettante a ciascun partito che abbia superato lo sbarramento, va preso in considerazione il primo voto, quello che elegge un candidato in ciascuno dei 309 collegi secondo il sistema maggioritario. Il candidato eletto è conteggiato nella somma dei seggi assegnati a ciascun partito. Il primo voto prevale sull'assegnazione proporzionale sulla base del secondo voto, sicché i vincitori nei collegi sono comunque eletti quale che sia il risultato di lista del partito al quale sono collegati. In questo senso il sistema, più che maggioritario, può definirsi «personalizzato».
      Va sottolineato, inoltre, che il doppio voto, da un lato, e la necessità di superare la soglia di sbarramento del 4 per cento, dall'altro, potranno influenzare notevolmente il comportamento degli elettori spingendoli a indicare le possibili maggioranze attraverso due voti differenti. Essi potranno dare il primo voto nel collegio al candidato del partito maggiore (quello del partito minore avrebbe ben poche possibilità di essere eletto nel sistema maggioritario «secco»), ma nel secondo voto, quello di lista, potranno scegliere il partito minore, possibile alleato, per consentirgli il superamento dello sbarramento. In altri termini, è possibile che gli elettori del partito minore cedano voti utili per il collegio a quello maggiore e quelli del partito maggiore cedano con il secondo voto consensi a quello minore utili al superamento della soglia di sbarramento. Nel sistema tedesco si calcola che il 16 per cento dei voti sia espresso in modo disgiunto. L'assegnazione prioritaria dei seggi ai più votati nei collegi unitamente alla clausola di sbarramento sono dunque i correttivi che si introducono in un sistema sostanzialmente proporzionale.
      L'articolato è basato sui seguenti punti:

          1) seggi ripartiti per metà in collegi uninominali e per metà secondo il metodo proporzionale di lista circoscrizionale (circa 309 collegi uninominali da istituire, a seconda dell'arrotondamento); candidature nelle circoscrizioni, senza nessuna considerazione di coalizioni o raggruppamenti di liste né per il maggioritario, né per il proporzionale: dunque, ciascun partito deve presentarsi da solo o sotto un contrassegno di più partiti che formano una lista unitaria, e tutti competono con tutti nei collegi uninominali e nella quota proporzionale;

          2) il collegamento fra candidatura uninominale e lista proporzionale nella circoscrizione stabilisce la regola del successivo «scorporo» dei seggi assegnati nei collegi uninominali da quelli spettanti a ciascuna lista in base alla ripartizione proporzionale nel collegio unico nazionale; dunque se si riesce a eludere il collegamento non è assegnato il seggio uninominale conquistato;

          3) per questo la disciplina delle candidature e dei collegamenti è particolarmente stringente: ciascun partito o gruppo politico organizzato può presentare una sola coppia di contrassegni, o un contrassegno unico per entrambe le candidature; per presentarne più di uno deve costituire davanti a un notaio un apposito partito o raggruppamento politico, nominando presidenti e amministratori; con questa regola, unita alla valutazione della «confondibilità» dei contrassegni, si dovrebbe evitare

 

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che un partito, o una coalizione non formalizzata, possa presentare più coppie di contrassegni affidandone in ciascuna coppia uno a una «lista civetta»: cioè non potrebbero esserci i segni, i nomi e i colori di un partito in un contrassegno per le candidature uninominali accoppiato a un contrassegno civetta nel proporzionale e - presentata da un fantomatico partito del signor X - una seconda coppia di contrassegni che abbia i simboli, le scritte, i colori del partito nel contrassegno proporzionale e sia accoppiato a un contrassegno civetta nell'uninominale;

          4) una seconda regola «ferrea» stabilisce che i candidati uninominali che scelgono un contrassegno devono obbligatoriamente collegarsi alla lista circoscrizionale che ha come contrassegno quello presentato dal medesimo partito o gruppo politico che ha presentato il contrassegno che lui sceglie; per converso in ciascuna circoscrizione una lista proporzionale può collegarsi e deve collegarsi a tutti i candidati uninominali che scelgono il contrassegno che essa ha presentato;

          5) infine, non possono esservi candidature uninominali non collegate a una lista proporzionale; sia alle candidature uninominali, sia alle candidature proporzionali è posto il vincolo di candidature maschili e femminili al 50 per cento: la norma prevede l'alternanza di genere (un maschio, una femmina) nelle liste proporzionali, pena la loro inammissibilità;

          6) l'elettore vota su un'unica scheda ma può dare due voti distinti o un solo voto; il voto uninominale serve solo ad assegnare i collegi; per le liste si computa il voto alle liste; la soglia di esclusione è al 4 per cento del totale delle liste e quelle escluse sono escluse anche da tutti gli altri conteggi;

          7) tutti i candidati proclamati nei collegi uninominali conservano il seggio conquistato;

          8) quelli ottenuti da candidati collegati a liste che non superano la soglia sono conservati a ciascuno e detratti dal totale dei seggi spettanti nelle circoscrizioni nazionali (618); i seggi da ripartire proporzionalmente sono quindi 618, meno i seggi uninominali conquistati da candidati collegati a liste fuori soglia, meno il seggio del collegio uninominale della Valle d'Aosta;

          9) dai seggi spettanti a ciascuna lista in ciascuna circoscrizione si detraggono quelli in cui sono stati proclamati candidati collegati a quella lista; i restanti sono assegnati secondo l'ordine di liste; altre regole minute disciplinano taluni dei casi di incongruenza che possono verificarsi.

      Alcune ultime precisazioni: il gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra europea (RC-SE) è per la diminuzione del numero dei parlamentari, da raggiungere sia attraverso la riduzione dei deputati (da portare a 500), sia attraverso il superamento del bicameralismo perfetto, che comporterebbe la trasformazione del Senato in una Camera delle regioni e delle autonomie locali, da eleggere in secondo grado. Inoltre il gruppo RC-SE è per il superamento delle cosiddette circoscrizioni estere (articolo 56 della Costituzione), la cui rappresentanza potrebbe essere recuperata nel Senato riformato. Queste modifiche, che richiedono leggi di revisione costituzionale, sono formulate in una proposta di legge ad hoc (atto Camera n. 2572). Nella presente proposta di legge è contenuta la proposta di modifica della normativa elettorale a Costituzione vigente.
      Infine richiamiamo l'attenzione sull'obbligo di presentare nelle liste un numero paritario di uomini e di donne, dando applicazione alla modifica dell'articolo 51 della Costituzione operata dalla legge costituzionale n. 1 del 2003.
      Analoga proposta di legge è stata depositata al Senato della Repubblica dal gruppo RC-SE (atto Senato n. 1553), dove il dibattito sulla legge elettorale è già avviato presso la 1a Commissione Affari costituzionali.

 

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